Se fino ad alcuni decenni fa alzarsi insieme alla propria famiglia all’alba e coricarsi con il tramontare del sole era la regola, oggi costituisce un’eccezione.
Fino ad alcuni decenni fa al lavoro a turni e al lavoro notturno erano costretti quasi esclusivamente i lavoratori atti a garantire i servizi sociali essenziali. Nel corso degli anni invece, per far fronte ad un mercato del lavoro finalizzato ad incrementare la produttività, il lavoro a turni ed il lavoro notturno si sono espansi in tutti i settori lavorativi. Il lavoro a turni, ed in particolare quello notturno, obbligano l’addetto ad invertire il normale ciclo sonno veglia, costringendolo a svolgere l’attività lavorativa nel periodo dedicato al sonno ed a riposare nel periodo usuale di veglia, inducendo anche cambiamenti nella normale variabilità circadiana. Questa perturbazione della struttura ritmica gioca un ruolo importante nell’influenzare la salute e la capacità lavorativa dei lavoratori. Studi epidemiologici hanno individuato i principali effetti del lavoro a rotazione e notturno sui lavoratori; in particolare, in base al tempo di insorgenza, si possono distinguere in effetti a breve termine e in effetti a lungo termine. Tra i primi si trovano i disturbi del sonno – che a loro volta comportano un deficit dell’attenzione spesso causa dell’aumento del rischio di infortuni (i più rilevanti incidenti della storia si sono verificati proprio durante il periodo notturno) – disturbi digestivi e una maggior prevalenza di disturbi nevrotici. Gli effetti a lungo termine sono difficili da misurare, ma recenti studi hanno dimostrato come la rottura del ritmo circadiano per un periodo prolungato comporti l’insorgenza di patologie croniche come patologie dell’apparato gastro-enterico, malattie cardiovascolari e malattie metaboliche ma anche un invecchiamento cognitivo precoce; si è dimostrato che chi è sottoposto ad orari a rotazione, di giorno o di notte, per dieci anni o più, registra una diminuzione della memoria e della velocità di ragionamento equivalente ad un invecchiamento del cervello di 6,5 anni. L’International Agency for Research on Cancer di Lione (IARC) ha classificato il lavoro a turni come probabile cancerogeno (Gruppo 2A). E’ noto quindi che il lavoro a turni e il lavoro notturno comportano delle gravi complicanze in termini di salute e di benessere, ma è innegabile il fatto che non tutti i lavoratori sono uguali: alcuni tollerano più facilmente gli orari atipici, altri, di fronte ad uno stile di vita alterato, si trovano in difficoltà. Tra i fattori che possono influire sulla tolleranza al lavoro a turni troviamo i fattori personali (anzianità lavorativa, assetto cronobiologico, etc.), le strategie di coping, le condizioni familiari, i fattori connessi all’attività lavorativa e i fattori ambientali e sociali.